L'esploratore del tempio di pietra
Davide Turrini racconta l’opera di Manuel Aires Mateus
Potrebbe sembrare, a una prima lettura, che queste poetiche e ispiratissime righe siano state redatte da un esploratore del passato, un viaggiatore nordico dalla cultura vasta e cosmopolita, sbarcato a fine Ottocento tra i templi antichi e mitici della Magna Grecia. Potrebbe sembrare che l’oggetto del racconto si trovi tra le silenti campagne intorno ad Agrigento, immerso in un cono di luce zenitale, assopito nell’attesa di un eroico spettatore post-moderno che ne riscopra l’intatto splendore. Potrebbe sembrare, perché l’autore di questo libro, ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, coniuga all’interno di precise ed esaustive pagine una profonda fede umanista e una spiccata conoscenza per i temi tecnologici legati ai materiali.
Davide Turrini, ormai alla sua seconda pubblicazione con la raffinata casa editrice Librìa, trasforma la narrazione tutta contemporanea del padiglione espositivo Pibamarmi che Manuel Aires Mateus ha progettato per la 45° edizione di Marmomacc, in un’occasione di racconto ad ampio raggio in cui qualità della pietra, tecniche compositive, poetica e gesto progettuale rimandano a un passato mitico, a una storia nella Storia. Un libro prezioso che riesce a superare la barriera della riduzione verbale – la parola che, in campo architettonico, troppo spesso non restituisce l’intensità dello spazio – per sviluppare considerazioni di carattere teorico sul lavoro dei due grandi architetti portoghesi. Un libro, infatti, che nasce da una conoscenza diretta e sedimentata di Manuel Aires Mateus come si evince chiaramente dalla lettura dell’interessante intervista che l’autore rivolge all’architetto in occasione della presentazione veronese del padiglione.
Il testo è contenuto ed equilibrato nelle sue parti costitutive così come lo è la scelta delle immagini che esalta in modo radicale la bellezza del materiale, la sua atemporalità, anche grazie a una selezione di piante e assonometrie molto curata. È la via dell’equilibrio formale quella che percorre Davide Turrini, in perfetto accordo con l’eleganza silenziosa e intensa del progetto, concedendosi solo una breve ma esaustiva introduzione per comunicare al pubblico dei lettori la ricca storia progettuale dei Mateus. Apprezzabile è sicuramente la capacità di restituire con pochi accenni – sempre ben documentati – la complessità di molti anni di pratica professionale vissuta sotto il cielo che contempla anche le memorabili architetture di Byrne, Tavora, Siza e Souto de Moura, tutti grandi progettisti portoghesi. Frasi precise quelle che Turrini impiega nell’introduzione, senza mai cedere alla tentazione dell’elencazione, dell’erudizione fine a se stessa, ma tentando invece con successo di appassionare il lettore, per brevi cenni, al tema dello spazio vuoto, vera cifra stilistica dei Mateus.
Grazie ad un percorso di messe a fuoco progressive il racconto passa dall’inquadramento d’azione allo specifico progetto, quello del padiglione Pibamarmi, che è però trattato come splendida metafora capace di agganciare le diverse storie dei tanti edifici che si dipanano tra le righe della narrazione. Una metafora sorretta da argomentazioni pertinenti e puntuali in cui palcoscenico, spettatori e pubblico – Tempio, Dei ed eroi – formano una perfetta unità aristotelica. Il padiglione diventa teatro dell’azione scenica, momento di espressione del valore concettuale della materia – la pietra protagonista silenziosa della storia – al cui interno vengono compiuti rituali d’antica memoria come se il sacro potesse essere evocato anche al di là del mito classico che l’autore dimostra di conoscere alla perfezione.
E Turrini parla a ragione delle “forme scultoree essenziali” incastonate come pietre preziose all’interno dell’involucro litico del padiglione che completano con equilibrato rigore lo spazio intenso e vibrante progettato da Mateus. Gli elementi di design, anch’essi pensati dalla mano dell’architetto, vengono evocati nel testo con la perizia scientifica dell’entomologo che nel raccogliere dati spiega e nello spiegare appassiona e nell’appassionare produce un nuovo progetto, quello del libro appunto. Così il racconto in nessuna sua parte riduce la qualità dell’opera del padiglione ma anzi la esalta creando un ologramma linguistico che conduce lo spettatore ben oltre il semplice sguardo, in una dimensione nuova, in bilico tra biografia, storia e critica.
Prima della parte che contiene la traduzione inglese, dimostrazione che questo testo è un veicolo per arrivare lontano, il saggio del professor Alfonso Acocella chiosa attraverso il binomio vuoto/pieno l’essenza della storia, la sua riduzione ad una coppia mitica, a quell’incontro di luce e ombra che, attraverso le parole, Davide Turrini ha saputo evocare con maestria. Conclusa la lettura non può che venire voglia di acquistare immediatamente l’altro libro dell’autore, quello dedicato al lavoro di Alberto Campo Baeza, sempre edito da Librìa. Altro racconto dipanato nel tempo della classicità, altro saggio di grande qualità. Ma questa, appunto, è un’altra storia…
di Elisa Poli