Le pietre dell’identità italiana.
Un percorso tra architettura e design

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L’Italia presenta una straordinaria ricchezza e varietà di marmi e pietre che storicamente hanno dato corpo alle proiezioni creative di artigiani, scultori e architetti. Si tratta di materiali che hanno alimentato, e implementano ancora oggi, numerose e peculiari culture progettuali e produttive, cariche di valenze identitarie non solo per gli immaginari collettivi locali, ma anche per le percezioni e le consapevolezze globali contemporanee; basti pensare in proposito all’intramontabile portata internazionale del travertino o del marmo di Carrara come simboli di italianità.

Gli anni Trenta

Una selezione di opere di architettura e design, con i relativi materiali, restituisce in questo contributo uno spaccato della varietà litica nazionale a partire dall’architettura autarchica degli anni Trenta del Novecento, in cui pietre e marmi si affermano parallelamente ai nuovi materiali della modernità poiché da un lato rappresentano una risorsa largamente disponibile, dall’altro veicolano valori di radicamento nella tradizione italica strumentali alla propaganda del regime.

Palazzina Reale della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze, 1934-1935
Lastre di marmo Fior di Pesco Carnico (a sinistra) e Fantastico Arni (a destra)

Ecco allora che un ideale percorso si può aprire con la Palazzina Reale della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze, progettata da Giovanni Michelucci come residenza temporanea per i regnanti in sosta nel capoluogo toscano. L’edificio è concepito all’insegna di una decisiva presenza di marmi italiani dalle spiccate peculiarità cromatiche e tessiturali, che si distendono in ampie superfici pavimentali o verticali e che danno corpo a soluzioni di dettaglio di particolare raffinatezza.

Il rivestimento esterno è in lastre di marmo Fior di Pesco Carnico, un materiale friulano caratterizzato da un fondo grigio-rosato con venature chiare e macchie rosa-violacee. All’interno si trovano due materiali di grande espressività: il marmo ligure Rosso Levanto nella sala del trono e il marmo apuano Fantastico Arni, con le sue striature verdi ondeggianti, a ricoprire le pareti e i corrimani della grande scala di accesso al primo piano.

Il dopoguerra

Il dopoguerra è contrassegnato da una presenza dei materiali litici che attraversa i processi progettuali e produttivi come un fiume carsico, per riemerge in superficie tra gli antipodi di nuove istanze industriali – ben esemplificate dai brevetti degli anni Cinquanta per superfici in marmi ricomposti e in moduli standardizzati –, e di opere uniche qui richiamate dalla stesura pavimentale in marmo verde della Valle d’Aosta progettata dal Gruppo BBPR per il negozio Olivetti di New York.

Lo spazio commerciale di punta dell’azienda italiana include materiali litici nazionali non solo nel pavimento – pensato per crescere nella terza dimensione in forma di “stalagmiti” che reggono macchine per scrivere – ma anche in alcuni arredi come le mensole e un grande tavolo in marmo di Candoglia, lo stesso ampiamente utilizzato nel Duomo di Milano.

Sempre ai BBPR si deve un’ulteriore impiego peculiare di un materiale lapideo della tradizione italiana in forme e contesti originali: è il caso della Pietra Serena che gli architetti scelgono come elemento caratterizzante per l’allestimento della Pietà Rondanini nel Museo del Castello Sforzesco. Utilizzata per costruire una grande nicchia che fa da sfondo all’opera di Michelangelo, la pietra toscana approda così alla modernità, dialogando con il capolavoro scultoreo in uno stimolante bilanciamento di assonanze e contrasti formali e materici.

La fine degli anni Sessanta

Un ideale percorso attraverso alcune espressioni identitarie emblematiche delle pietre italiane può approdare alla fine degli anni Sessanta, alle prime sperimentazioni di design del prodotto industriale applicate agli oggetti e agli arredi litici compiute nel laboratorio progettuale di Officina, a Pietrasanta, e in occasione della Terza Mostra Nazionale del Marmo a Carrara. In questo contesto, ad esempio, Enzo Mari progetta The big stone game (1968), uno spazio giochi per bambini, pavimentato in ardesia e caratterizzato da otto pannelli verticali in travertino romano, tra cui nascondersi e attraverso i quali guardare grazie a piccoli fori.

Le forme estremamente semplificate dell’installazione, la sua espressività radicale, sono in linea in questo caso con la propensione del designer all’impiego dei materiali lapidei a fini strutturali e funzionali, assolvendo ad istanze di economicità e alle specifiche esigenze di un’opera creata per attività ludiche all’aperto.

Le sperimentazioni citate, compiute tra Pietrasanta e Carrara, preludono a percorsi progettuali a vocazione litica di rilevanti designer come Sergio Asti, Achille Castiglioni, Angelo Mangiarotti, Tobia Scarpa, Ettore Sottsass e Lella e Massimo Vignelli. Si tratta di percorsi più o meno fecondi ma comunque significativi nel sostanziare singoli pezzi prodotti da importanti editori dell’arredamento italiano, o intere collezioni per marchi dedicati al design del marmo che costituiranno un viatico determinante per proiettare, dagli anni Settanta fino ad oggi, le pietre italiane nello scenario globale.

– di Davide Turrini